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L'Annunziata di Sulmona

L'Annunziata di Sulmona L'Annunziata di Sulmona

Il complesso dell’Annunziata è vanto di Sulmona, la “ricchissima di gelide acque”, come la definisce Ovidio, che qui nacque nel 43 a.C. Il poeta riporta la leggenda che la dice fondata da Solimo, amico di Enea. Di sicuro fu abitato peligno e più tardi municipio romano. La vicenda politica della città, prima sotto gli Svevi e gli Angioini; più tardi sotto gli Aragonesi e, ancora, sotto il governo dei signori de Lannoy, dei principi di Conca, dei Borghese; sotto il governo del reame spagnolo, dei Borboni del regno di Napoli sino all’unità d’Italia, rende ragione della fusione, nel complesso, di forme gotiche, rinascimentali e barocche, quasi che la storia e i suoi protagonisti, con il mutare delle vicende, ne volessero assecondare i cambiamenti, sia del linguaggio architettonico utilizzato che degli stilemi espressivi, di quello che dovette essere, sin dal XIV secolo, un importante “baluardo” della cristianità.

Ciò non solo e non tanto per la magnificenza del suo apparato architettonico e artistico, ma per il profondo significato che la vicinanza dell’Ospedale dell’Annunziata, costruito nel 1320 per gli infermi e gli orfani e, oggi, la presenza nel complesso della sede della Pinacoteca Civica, gli conferiscono; un significato e una valenza cui non è estraneo il suo particolare inserimento nel tessuto urbano cittadino, lungo l’arteria principale, sfondo scenografico ideale e tangibile di una realtà complessa e articolata con il suo ex ospedale, la chiesa e l’attuale Pinacoteca Civica, summa di esperienze di matrice antropologica, con i resti della domus romana in situ, argenti, tele pittoriche e oggetti dell’artigianato artistico locale. Così oggi, nel suo complesso, nei secoli baluardo e sostegno dell’intera comunità con i suoi desideri di carità, spiritualità e protezione, si erge a memoria dell’identità, dello spirito di immanenza e della devozione dell’intera collettività. Perciò non è solo la chiesa a narrare la storia plurisecolare di una committenza “illuminata”, a ben osservare la facciata del Palazzo, ospedale sino agli anni ’60, con le sue espressioni quattrocentesche nel portale di sinistra e i richiami alla tradizione precedente nella splendida trifora; nel portale centrale e nella sovrastante bifora dagli attardati echi gotici; nel portale a tutto sesto e bifora, di matrice rinascimentale, sino ai rimaneggiamenti da interventi successivi agli anni ’60. Meravigliosa sovrapposizione di schemi decorativi cui non si sottrae neppure la splendida chiesa dell’Annunziata con la sua movimentata facciata, ricostruita dopo il sisma del 1456 e del 1706, che acquista una caratteristica decisamente barocca con il portone laterale del 1590, l’abside poligonale e il bellissimo campanile (1565-1588), realizzato dal mastro Alessio.

Una sorta di fondale prospettico, su progetto e esecuzione del lapicida pescolano Norberto Cicco, che innerva splendide variazioni iconografiche sulla trama lineare della facciata cui l’uso della colonna libera e binata, delle riseghe e degli ornati architettonici conferiscono una discontinuità espressiva che “riposa” sul piano orizzontale della gradinata di accesso, forte segno di contrappunto alla verticalità frammentata della facciata stessa. Una verticalità che, mentre si adagia sul breve accesso scaligero di marmo, prorompe esasperata all’esterno nello svettante rincorrersi di tamburo, cupola e lanterna. Risponde e fa eco all’interno lo sviluppo orizzontale delle tre navate, scandite ognuna da quattro campate, e abside poligonale che pare accogliere in un grande abbraccio il percorso del fedele, mediato dal clero e interrotto dal coro ligneo, verso Dio. Un percorso di dinamica e ariosa eleganza ritmato da una splendida decorazione barocca, sontuosi arredi lignei e marmorei, seducenti tele dalle paradigmatiche espressioni figurative del Sei-Settecento, come quelle del transetto realizzate da Alessandro Salini. All’interno il prezioso coro ligneo (1577-1579) di Bartolomeo Balcone e la tela della Pentecoste (1598) di Berna Monaldius Florentinus come appare citato nell’iscrizione.

Seicentesche anche le tele con l’Annunciazione di Lorenzo Baldi, la Comunione degli Apostoli di Alessandro Salini, La Presentazione al Tempio di Giuseppe Simonelli al pari dell’intera decorazione della Cappella della Madonna, opera di Giacomo Spagna. Al suo interno, ancora intatto, un antichissimo ornamento in marmo, oltre al Paliotto, opera dello stesso Spagna, e ai pregevoli marmi di maestranze locali dalla grande abilità, perizia e maestria, secondo una tradizione che tramanda nei secoli una indiscussa manualità negli autori di decorazioni lignee e, soprattutto, marmoree. Perché il sisma del 1706 dell’antico monumento chiesastico risparmia solo la Cappella della Madonna, appunto, il campanile e il perimetro absidale, elementi di un monumento cui i sulmonesi tornano a riedificare l’ossatura muraria e l’assetto architettonico con alacrità e zelo operativo che oggi sappiamo essere la conditio sine qua non per ripristinare ad integrum un edificio danneggiato da calamità naturali.

E tuttavia all’interno, un costante fervore operativo portano, nel tempo, alla edificazione di 14 cappelle, in parte distrutte prima del terremoto del 1706 e, dopo il sisma, alla ricostruzione di alcune di esse per un numero complessivo di 10, a commento dell’altare maggiore, opera di Giuseppe Cicco e dei figli Norberto e Francesco, scalpellini di Pescocostanzo. Questo, posto su quattro gradini di pietra, con balaustra e decorazioni animali e floreali, raccorda i bracci laterali della cappella, raccogliendone e sublimandone la spiritualità. Così gli eventi naturali succedutesi rendono la Chiesa dell’Annunziata il meraviglioso “laboratorio” di un’intera comunità spirituale che, nei secoli, esprime la propria creatività e la propria fede. Un monito esemplare per gli abruzzesi che si accingono a riedificare dopo l’ultimo terremoto sulle macerie di antichi monumenti perché dalle ceneri, come araba fenice, possano rinascere i segni tangibili del quotidiano secolare e della spiritualità millenaria.

Paola Di Felice

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