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L'importanza di avere un modello

Pierluigi Visci Pierluigi Visci

Al massimo trenta. Quando la nebbia di gesso si é dissipata, c’era davanti a noi un mondo nuovo”. Rintraccio su Wikipedia questa citazione di Ignazio Silone sul terremoto della Marsica del 1915: 30 mila morti, solo ad Avezzano 10.700 su 13 mila abitanti, l’80% della popolazione. “Mondo nuovo” é immagine di futuro pur in mezzo a tanto sconvolgimento. Quale futuro era possibile immaginare, allora? E quale futuro oggi, dopo questo “inverno spietato”, mirabile sintesi di Fabrizio Masciangioli nel bel testo per “Vario” che riassume la “micidiale sequenza di eventi naturali”, la terra che “vibra al ritmo di 500 scosse in 24 ore”, la “violenza delle bufere (che) lasciava al buio e senz’acqua decine di paesi”.

 

Assieme alle analisi di Stefano Ardito e Pierluigi Sacco, per molti aspetti convergenti. Specialmente sul tema dell’abbandono, dello spopolamento, della marginalizzazione geografica (e culturale). “Come mai - ha scritto Paolo Rumiz su “Repubblica” nel suo recente “Viaggio nell’Appennino terremotato” - un luogo che é il baricentro del Paese é sentito dai governanti come una lontana periferia?” Scrivo queste note mentre le agenzie battono la notizia degli sviluppi dell’inchiesta giudiziaria sulla devastazione prodotta da quella montagna di 120 mila tonnellate di neve, rocce, alberi, detriti, quei virtuali” 4000 tir a pieno carico precipitati sul fragile hotel Rigopiano. Sui 29 morti di quel mercoledì 18, dei sei avvisi di garanzia, delle accuse nei confronti del presidente della Provincia dannunziana, del giovane sindaco della piccola Farindola e degli impiegati che non hanno agito o agito male. E così riparte la caccia ai “colpevoli” che ci ha assillato negli ossessivi talk televisivi, la crocifissione di chi non ha avvertito, di chi ha capito male, di chi non ha riparato gli spazzaneve, di chi autorizzò la costruzione dell’albergo, sotto il costone spettacolare del Monte Camicia, abitato dal Neolitico.

Chi, invece, processerà decenni di incuria, silenzi, violenze ambientali, distrazioni amministrative, superficialità politica, affarismo criminale, speculazioni? Chi contesterà l’amnesia lunga 25 anni di amministratori e burocrati che hanno ignorato la legge 47 che imponeva alla Regione di stilare la Carta del rischio valanghe, rimediata solo 40 giorni dopo Rigopiano? Insomma, chi processerà, insieme alla cronaca del 2017, la Storia di questa nostra terra straordinaria e disgraziata, eroica e vigliacca, “forte” e cinica, “gentile” e volgare? Scrive Ardito: “La classe dirigente dell’Abruzzo non ha più un legame con la montagna”. E cita la previsione dell’alpinista Giampiero Di Federico: “Si arriverà allo spopolamento completo dei nostri borghi”. Una bestemmia se pensiamo che il territorio abruzzese é per il 65% montuoso e per il 34 collinare, mentre solo l’1% a ridosso della costa é pianura. Quel “legame” é l’essenza dell’abruzzesità.

Come dimenticare che questa é la terra più verde d’Europa, dei quattro parchi (tutti legati anche alle più imponenti montagne appenniniche: Gran Sasso, Maiella, Monti della Laga, Monte Velino), delle 32 riserve e delle 18 oasi che coprono il 36,3 per cento del territorio, un terzo dei 10.794 km2 d’Abruzzo. E dove c’é anche il Calderone, l’unico ghiacciaio appenninico e il più meridionale d’Europa. E i borghi di cui parla Di Federico? Nel club dei più belli d’Italia, l’Abruzzo ne conta 23, il maggior numero. Assieme a 312 castelli, fortezze, eremi, ruderi, palazzi del potere censiti tra i siti medievali del Bel Paese. Cito questi pochi elementi, noti ai più attenti, per riprendere il concetto di “quale futuro” come emerge dai tre temi-chiave indicati dal professor Sacco: “sviluppare nuovi modelli di creazione di valore economico e sociale”; messa in sicurezza (antisismica) del territorio”; “rifondare le economie locali attorno ad una residenzialità e ad un’imprenditorialità giovane e ad un modello sociale inclusivo”. Gli eventi di gennaio hanno offuscato l’immagine turistica dell’Abruzzo e quello spot del “cuore” d’Italia veicolato sulle reti Rai e che chiama gli italiani a tornare in Abruzzo, Umbria, Marche e Lazio é solo un palliativo percepibile come atto di solidarietà più che precisa scelta turistica. Le bellezze da cartolina che appaiono fugacemente sono solo un pretesto. Ci vorrebbe ben altro. E da tempo perché la congiuntura precede i recenti disastri: nel 2016 l’Abruzzo era al terz’ultimo posto tra le regioni turistiche e fa meglio solo di Molise e Basilicata. Il bilancio arrivi/presenze di turisti stranieri segna meno 7,7 e meno 11,7 per cento. I turisti, dice l’Enit, non tornano, i prezzi medi sono alti, le infrastrutture civili (depuratori in primis) sono carenti e la balneazione é spesso negata. Contraddizioni. Sempre nel 2016 l’ Huffington Post Usa colloca l’Abruzzo al quinto posto della classifica delle regioni dove si vive meglio al mondo, l’unica tra le italiane, una delle tre europee con Algarve (Portogallo) e Pau (Francia). Eppure, “dobbiamo ricostruire l’immagine di questa Regione con una serie di misure straordinarie”, dice Giovanni Lolli, vicepresidente con delega alle attività economiche della giunta D’Alfonso e nell’emergenza anche assessore al turismo. Dunque, sa che il comparto fa l’8% del pil abruzzese, con 45 mila imprese, 2.400 strutture ricettive, 109 mila posti letto. Lolli parte dall’area Vestina, luoghi della tragedia del Rigopiano, per il nuovo piano strategico del turismo.

Il turismo dei borghi e dei parchi. Il turismo verde, dei vini, della gastronomia. Il turismo esperenziale. Nei paradisi del cicloturismo e nel piccolo Tibet italiano (il Gran Sasso). Diciamocelo francamente: lo sapevamo. Ora dobbiamo vincere la paura. “Primo il ’60 era il regno dei fiori, ora é il regno della miseria”, sta scritto sulla più celebre “Tavola dei briganti” incisa sulle rocce della Maiella, al Blockhouse, dove si rifugiavano gli oppositori di Re Vittorio Emanuele II. Il nuovo Regno, nel 1861, perseguì le proteste per le misere condizioni di vita del Sud creando di fatto il brigantaggio. Fino al 1867 la repressione fu dura anche in Abruzzo e fu allora che iniziò l’emigrazione, con l’avvio dello spopolamento interno, proseguito prima e dopo le due guerre, soprattutto nel primo dopoguerra. La popolazione cala ancora oggi: il saldo 2015/2016 nati vivi/morti segna meno 5.000, pari al 4,4%; scende anche la presenza degli stranieri e si alza l’età media: 44,9 anni, più vecchi di 2 anni dal 2007. La densità é di 123,4 abitanti per km2 contro la media nazionale di 198,8, con il 20% circa (220.000 su 1.300.000) della popolazione concentrata nell’area Pescara-Montesilvano-Spoltore. Cinquanta dei 305 comuni hanno meno di 400 abitanti e sono collinari e montanari, tra 350 e 1.346 metri, quasi tutti aquilani e chietini.

Come Bisegna, con 4,79 abitanti per Km2 oppure Rocca Calascio con 3,47. Il comune meno abitato, Montelapiano, ha 82 residenti per un territorio di 8,27 Km2. Svuotamento drammatico, come l’abbandono di case, terreni, corsi d’acqua, monti. Su “Repubblica” del 2 aprile, Michele Serra scriveva che l’Italia é “scesa in pianura e ha abbandonato vallate, crinali, borghi … Di qui molti dei dissesti, delle omissioni, delle catastrofi”. In Abruzzo, se possibile, anche di più. Studiamo il “caso Riace”, comune della Locride nel cui mare furono ripescati i famosi Bronzi. Nel 1998 era un paese fantasma abitato da 400 anziani. Un giorno sbarcarono 200 profughi curdi, accolti e ospitati nelle case abbandonate del paese. Oggi: 2 mila abitanti, 500 stranieri, 120 stabili. Sono stati riaperti botteghe, laboratori artigianali di tessuti e ceramiche, asili e scuole multilingue, si praticano culti multireligiosi, sviluppato l’agricoltura biologica, rifatto l’impianto di illuminazione pubblica. E i 32 euro giornalieri che il governo stanzia per il mantenimento degli immigrati servono a creare lavoro, non assistenza. Il sindaco Mimmo Lucano, al terzo mandato, é stato inserito dalla rivista “Fortune” al 40mo posto della lista dei 50 leader più influenti al mondo, unico italiano tra Papa Francesco, Angela Merkel e Tim Cook. Modello mondiale di integrazione, Riace ha sviluppato anche una nuova forma di turismo solidale. Wim Wender si é ispirato per il film “Volo”. Un’idea, un modello anche per le deserte montagne d’Abruzzo?

Pierluigi Visci

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