Logo Vario

Lino Guanciale: Il Divo che si crede una bustina di tè

Lino Guanciale Lino Guanciale

Re della fiction Rai, protagonista della scena teatrale più innovativa, sempre più richiesto dal cinema. L’attore abruzzese passa di successo in successo ma rimane legatissimo alle sue radici, soprattutto ad Avezzano e al suo Teatro dei Marsi. E per definirsi usa un’immagine a dir poco sorprendente.

«A teatro, prima di entrare in scena io mi sento una bustina di tè». Una bustina di tè. «Sì, una bustina di tè che se ne sta lì, inutile e sola nella sua confezione». Lino Guanciale, l’interprete delle fiction Rai di maggior successo delle ultime stagioni, il rigoroso uomo di teatro impegnato da anni nella sperimentazione di innovative forme di rappresentazione, il sempre più richiesto volto cinematografico che gira un film dopo l’altro, il divo sexy e intellettuale a suo agio su Sorrisi e Canzoni e Vanity Fair come nei talk show di Floris e Berlinguer, l’attore che può rifiutare di subentrare a Terence Hill nel ruolo di Don Matteo: ebbene, questo acclamato, stimato, amato, richiestissimo, invidiatissimo big dello spettacolo sulla cresta dell’onda si sente una bustina di tè. «Sì, ma quando entro in scena e avverto che la mia recitazione, le mie parole, i miei gesti iniziano a smuovere il pubblico, a catturarne l’attenzione, per poi emozionarlo, indignarlo o soltanto divertirlo, quella bustina di tè esce dall’inerzia e dalla solitudine e immergendosi in una tazza d’acqua bollente finalmente agisce, si scioglie, muta il suo stato e quello dell’acqua che l’accoglie nel suo bollore donandole colore, sapore e aroma».

Guanciale tratteggia questo singolare autoritratto senza mostrare compiacimento per la paradossale similitudine e senza sottolinearne gli indizi erotici. Sa bene, naturalmente, che il rapporto attore – pubblico ha un’evidente consonanza con la relazione amorosa, e sa che, a questo proposito, nel suo ambiente l’ammicco cazzuto è sempre in voga («Umberto Orsini, mio raffinato collega e maestro, mi diceva: caro Lino, il pubblico è femmina»). Egli, quella consonanza la descrive con passione e finezza: «Quando sono sulla scena avverto un flusso di sensazioni fra me e il pubblico che ha l’incanto dello scambio amoroso. C’è un istante in cui m’accorgo che la gente s’immedesima in me, è con me, io non sono più solo, non sono più una bustina di tè. È un momento magico, perfetto, in cui assaporo pace, serenità, felicità, come se mi fosse concesso di godere, insieme con il pubblico, un lungo attimo d’eternità». Una bustina di tè. L’impressione è che quell’immagine gli si sia presentata alla mente prima d’ogni suo possibile significato, come un’inconscia, iconica rappresentazione di quel “desiderio rimosso” (parole sue) che ha caratterizzato il suo rapporto con il teatro prima che si decidesse a farne la sua scelta di vita .

«Il desiderio di recitare, di fare teatro, l’ho sempre avuto ma l’ho sempre negato, rimosso. Ero una bustina di tè che si tiene lontana dall’acqua calda, condannandosi, così, all’inutilità, all’irrilevanza, alla solitudine. Era così con le ragazze. Ero carino, piacevo e lo sapevo, ma ero timido, introverso. Ho avuto un’adolescenza segnata da necessità insoddisfatte. A volte provavo a fare il disinvolto, ci riuscivo anche. In realtà, recitavo. Avevo difficoltà a rapportarmi con gli altri, ad uscire da me stesso, ad aprirmi». Lei ha un fratello psicologo. «Sì, Giorgio». Si sarà confidato con lui. «Dice che mi devo accettare così come sono». Cioè una bustina di tè. «(ride) Sì, una bustina di tè che cerca nell’acqua calda il suo momento di felicità». Presa la maturità al liceo scientifico Vitruvio Pollione di Avezzano, Lino Guanciale supera il test per l’ammissione alla facoltà di medicina, a Roma. La medicina sembra una strada obbligata per lui: il padre Clelio è medico. Invece, si iscrive alla facoltà di lettere e filosofia, ma pco dopo fa la sua vera scelta: s’iscrive al corso di recitazione dell’Accademia d’arte drammatica “Silvio D’Amico”, dove si diploma nel 2003. «Fu solo in Accademia che mi resi conto di quanto autentica e profonda fosse la mia passione per il teatro e che, pur con tutte le mie difficoltà, potevo farlo, ne ero capace. Potevo immergermi nell’acqua bollente». I fatti gli danno presto ragione.

Lavora con Gigi Proietti, Franco Branciaroli, Luca Ronconi, Walter Le Moli, Massimo Popolizio e altri teatranti di prim’ordine. Intanto fa le sue prime esperienze nel cinema facendosi notare da un regista di gran nome, lo spagnolo Carlos Saura che nel 2009 lo chiama per interpretare il ruolo di Mozart nel film Io, Don Giovanni, sulla vita del grande librettista mozartiano Lorenzo Da Ponte. Nello stesso 2009 recita con Riccardo Scamarcio e Giovanna Mezzogiorno in La prima linea, del regista Renato De Maria. Negli anni successivi lavora con Michele Placido in Vallanzasca (2010), al fianco di Toni Servillo in Il gioiellino (2011), è nel cast di Il mio domani di Marina Spada (2011), poi in To Rome with Love di Woody Allen (2012), La scoperta dell’alba (dall’omonimo romanzo di Walter Veltroni) di Susanna Nicchiarelli (2012), Il volto di un’altra di Pappi Corsicato (2012), L’ombra di Caino di Antonio De Palo (2016), è il protagonista in Happy Days Motel di Francesca Staasch (2014) e di The Space Between della regista Ruth Borgobello (2017). In novembre è uscito La casa di famiglia di Augusto Fornari, con Lino Guanciale protagonista. Entro la primavera del 2018 uscirà Arrivano i prof, una commedia d’ambiente scolastico, in cui al fianco di Guanciale ci saranno Claudio Bisio e Maurizio Nichetti. Una carriera cinematografica di cui Guanciale parla poco, nonostante la nutrita filmografia e i sempre più frequenti ruoli da protagonista. Il suo grande amore rimane il teatro.

Nel 2011 incontra il regista Claudio Longhi, oggi direttore dell’Emilia Romagna Teatri, che mette in scena La resistibile ascesa di Arturo Ui di Bertolt Brecht e gli affida il ruolo di coprotagonista al fianco di Umberto Orsini. Inizia così con Longhi un impegnativo percorso di ricerca e sperimentazione di nuove modalità teatrali, con l’obiettivo di realizzare un “teatro partecipato” che tiene d’occhio la lezione del rivoluzionario teatro totale del grande regista svizzero Cristoph Mathaler. Un teatro, quello di Longhi e Guanciale, che culmina ma non si esaurisce nella messa in scena, maì viene preparato e seguito da un rapporto profondo con il territorio di riferimento, in un processo di formazione e partecipazione del pubblico che sfocia in messe in scene memorabili come Istruzioni per non morire in pace, su testo di Paolo Di Paolo. Una smisurata maratona teatrale dove Guanciale interpreta ben dodici personaggi diversi. A gennaio del prossimo anno, Lino Guanciale e Claudio Longhi porteranno in scena per Emilia Romagna Teatri La classe operaia va in paradiso, una rielaborazione drammaturgica di Paolo Di Paolo dalla sceneggiatura del famoso film di Elio Petri del 1971. Il 25 marzo 2018 Lino Guanciale sarà al Teatro dei Marsi di Avezzano per dare voce, accompagnato dal soprano Giulia De Blasis, a un melologo tratto da L’avventura di un povero cristiano di Ignazio Silone musicato da Paola Crisigiovanni, compositrice e pianista avezzanese di ottima quotazione nazionale, che ha curato anche la riduzione del testo. Ma l’appuntamento di marzo non è un ritorno a casa per Lino Guanciale: si può dire che lui, da casa, cioè da Avezzano, non sia mai andato via, tanta è la frequenza e l’intensità dei rapporti che intrattiene con la città dov’è nato 38 anni fa. Non si fa mai pregare per partecipare ad incontri nelle scuole, eventi di beneficienza, spettacoli delle compagnie locali e quant’altro gli venga richiesto dai suoi concittadini: ha perfino prestato (gratuitamente) la sua voce a un video promosso dagli alpini di Avezzano per celebrare il cinquantenario della posa della Madonnina sulla vetta del Velino.

Dopo essere stato per alcuni anni membro dell’Ufficio comunale di Avezzano che organizza e gestisce le stagioni del Teatro dei Marsi, da quest’anno ha accettato di diventarne il responsabile, subentrando all’avvocato Giampiero Nicoli, un professionista avezzanese che con passione e competenza ha ridato slancio al teatro marsicano. Perché? Perché Lino Guanciale, attore di grande successo e impegni crescenti, accetta di occuparsi del teatro di un piccolo centro come Avezzano? «Potrei rispondere perché amo Avezzano e amo il teatro. Ma sarebbe una risposta, in fondo, solo sentimentale, anche se a me non dispiace esserlo. Il vero motivo, quello oggettivo non solo soggettivo, è che il Teatro dei Marsi può diventare uno dei teatri più importanti del centro-sud, ed in parte già lo è. Ha un pubblico in crescita: i 6800 spettatori della stagione 2015-2016 sono diventati nel 2016-2017 quasi 10000. Sono dati decisamente in controtendenza nel panorama nazionale, grazie soprattutto all’ottimo lavoro svolto in questi anni dall’avvocato Nicoli, cui dovrebbe andare la gratitudine d’ogni avezzanese. È giusto riconoscergli anche il merito di buona parte del cartellone 2017-2018. Un cartellone di ottimo livello, con nomi come Ottavia Piccolo e Umberto Orsini, ma anche Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia: insomma, un accorto mix di teatro colto e di teatro leggero di qualità. Il pubblico in crescita, la buona qualità degli spettacoli, la funzionalità tecnica del Teatro dei Marsi, da migliorare ma già buona, la vicinanza a Roma, sono fattori che fanno di Avezzano una “piazza” sempre più ambita anche da importanti teatri pubblici nazionali e dalle maggiori compagnie private. Mi sembrano tutti ottimi motivi perché un uomo di teatro con un minimo di lungimiranza, per di più marsicano, voglia occuparsi del Teatro dei Marsi e contribuire alla sua crescita ulteriore».

In televisione Lino Guanciale arriva, paradossalmente, mosso dal suo amore per il teatro. E per i John Jack Wings. «(ride) Già. Io non ho mai amato molto gli stivali, ma un giorno a Roma, in una vetrina di via del Corso ne vidi un paio di pelle nera con punta a freccia e arabeschi in rilievo: fu amore a prima vista. Scoprii che erano i famosi John Jack Wings. Li pagai una cifra che allora non potevo permettermi, tant’è che dopo pochi mesi fui costretto a rivenderli su eBay. Era sempre più dura cavarsela con i soldi che guadagnavo in teatro e nei pochi film che facevo allora. Fu Claudio Longhi a dirmi: senti ma con il fisico che ti ritrovi, con la tua faccia carina, perché non provi con la televisione? Guadagni di più e magari potrai anche far conoscere di più il nostro teatro. Se diventi famoso va meglio per tutti». Famoso lo è diventato, eccome. Il suo debutto in televisione avviene nel 2011, nella fiction Rai Il segreto dell’acqua. Negli anni seguenti, un successo dietro l’altro e ruoli sempre più importanti che l’hanno imposto all’attenzione del grande pubblico: da Una grande famiglia a Che Dio ci aiuti, a La dama velata, Il sistema, Non dirlo al mio capo, L’allieva, fino all’exploit di La porta rossa, la serie poliziesca ideata e scritta da Carlo Lucarelli andata in onda su Rai2 tra febbraio e marzo di quest’anno, di cui Guanciale è stato protagonista nei panni davvero insoliti di un commissario di polizia, Leonardo Cagliostro, che viene ucciso all’inizio della prima puntata ma rimane in scena per l’intera serie come un fantasma, visibile solo a una giovanissima medium, per indagare sul suo stesso assassinio.

Una storia che evoca Ghost, il famoso film del 1990 con Patrick Swayze e Demi Moore, che Lucarelli cita con sorniona noncuranza nel nome della nuova droga sul cui traffico indaga da vivo e da morto il commissario Cagliostro: red ghost. «Il commissario Cagliostro è senz’altro il mio personaggio preferito tra quelli ho che interpretato finora in tv. Ho voluto fortemente quel ruolo, così nuovo e così complesso rispetto ai caratteri abituali nelle fiction nostrane.

Le sue nevrosi, il suo carattere ruvido e intransigente fanno di Cagliostro una figura tragica che rifiuta di entrare nel regno dei morti e rimane tra i vivi per combattere il male in nome della legalità e dell’amore». Che cosa rimane in Cagliostro della bustina di tè? «Abbastanza». Cagliostro è un nevrotico, una bustina di tè che soffre di solitudine qualche nevrosi ce l’avrà anch’essa. «Sì, ma sono nevrosi tranquille, gestite in modo sicuramente più equilibrato del commissario Cagliostro».

Di Francesco Di Vincenzo

A proposito di noi

Vario è una rivista che da oltre venti anni racconta l'Abruzzo valorizzandone le eccellenze nei diversi settori: quello culturale, economico, ambientale, produttivo e sociale. Un taglio giornalistico moderno, sobrio ed esaustivo e un'alta qualità delle immagini ne fanno uno strumento indispensabile per conoscere meglio questa regione in crescita.
  

Come trovarci

Ultimi Articoli

Newsletter

Autorizzo il trattamento dei miei dati personali ai sensi del d.lgs. 196 del 30 giugno 2003.