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Publio Ovidio Nasone, nota introduttiva di Giovanni D’Alessandro

Attorno all’8 d.C. Publio Ovidio Nasone, nato a Sulmona nel 43 a.C., nella prima fase delle guerre civili successive all’uccisione di Cesare (avvenuta alle Idi di marzo dell’anno precedente) che vedranno trionfare il nipote Ottaviano, è uno dei massimi poeti di Roma, mentre Cesare Ottaviano Augusto è all’apice della sua autorità e potenza nell’appena costituitosi impero, ancorché non voglia ancora per sé il titolo, che sarà assunto dai suoi successori, di imperator.


Ovidio è celebre, introdotto a corte e frequenta la famiglia del principe, popolata da inquietanti presenze come la potente e spietata Livia, moglie di Augusto, e l’imbarazzante nipote di lui, Giulia Minore, la cui condotta è assai nota per la disinibizione, eufemismo per non dire che genera scandalo nella capitale. Il sulmonese è il poeta dell’amore e varie sue opere lo hanno accreditato come tale, a partire dalla più celebre, di otto anni prima, Ars amandi o “L’arte di amare”: è l’ammiccante suggeritore delle arti di seduzione e conquista, nonché un dichiarato fautore della variatio amorosa, cioè di tutte le variazioni sul tema, e infedeltà, possibili e immaginabili; quelle che ama nascondere – dietro crini di agnello, lui lupo sceso dai monti natii - umilmente definendosi tenerorum lusor amorum, cantore di teneri amori.

Ovidio non sembrava, quando viveva nella natia Sulmona, destinato a tal fama poetica. La sua famiglia, appartenente all’ordine equestre e con antenati illustri - come lo stesso poeta ricorda: non è infatti avaro di notizie sulla sua vita, a differenza di altri - lo aveva destinato alla carriera forense e magistratuale, sulle orme del fratello maggiore, mandandolo a studiare diritto e oratoria a Roma. Il padre lo aveva avvertito che il poetare non gli avrebbe garantito mezzi di sussistenza e per un certo periodo il giovane aveva anche provato a cimentarsi con la prosa di diritto, ma la Musa della poesia lo aveva imperiosamente richiamato a sé: tutto ciò che scriveva -racconta – “gli usciva in versi”. Aveva dunque secondato la sua vocazione e frequentato gli ambienti dove erano accolti e benvoluti i poeti coetanei, o comunque attivi al tempo dei suoi esordi.

E’ lui stesso a farne i nomi: Macrone, Properzio, Pontico, Basso, Orazio, Tibullo, Gallo e perfino Virgilio - il poeta ufficiale di corte, l’autore dell’Eneide, poema celebrativo delle fatali sorti di Roma e della gens Julia - incrociato, tuttavia, e mai conosciuto di persona. Tra di loro aveva mosso i primi passi, una volta abbandonata la carriera che la famiglia avrebbe voluto per lui. I suoi familiari si saranno poi ricreduti, per la fama conquistata dal figlio, ancor giovane, in un campo particolare quale la poesia amorosa, dove poteva vantare ammiratori e imitatori. E dove si era guadagnato amicizie, o almeno frequentazioni, altissime, al vertice della caput mundi: le quali saranno - tuttavia - causa della sua repentina rovina, da cui non lo salverà l’essere uno dei più acclamati artisti di Roma. A cinquant’anni “come un fulmine” – scrive infatti - si abbatte su di lui l’ingiunzione da parte di Augusto di lasciare immediatamente Roma e l’Italia, per ritirarsi ai confini dell’impero, a Tomi, nell’attuale città di Costanza in Romania, sul Mar Nero. Il principe, per qualcosa che lo ha profondamente disturbato, forse anche per una necessità di stato, lo allontana dall’Urbe e non lo riammetterà mai più in essa, pur irrogandogli un provvedimento in definitiva blando (la relegatio, invece dall’exilium, la quale non comportava la capitis deminutio e la perdita dei beni). Cosa abbia commesso Ovidio per far adottare contro di lui questa misura, da parte di Augusto che ama presentarsi quale protettore dei poeti, rimarrà ignoto fino ai nostri giorni, alimentando saggi, studi, ricostruzioni e anche romanzi a non finire.

La più plausibile delle ipotesi (avallata da qualche passo dello stesso poeta, quando ammette di aver sbagliato in un carmen et error, in “una poesia” e “un equivoco”, per culpa, “per leggerezza” e non per crimen, cioè senza “coscienza d’incorrere in un misfatto”) lo presenta come sodale di Giulia Minore e…solidale con lei, se non pronubo, in amori vietati; quelli che costringeranno poi lo zio a relegare Giulia stessa in un’isoletta, affinché non sia più di scandalo a Roma; ma non manca chi dice che Ovidio si sia messo di traverso, in quella maledetta poesia fraintesa, Livia, per aver contrastato le mire di successione del di lei figlio Tiberio, poi successore del marito. Sta di fatto che Ovidio deve aver veramente irritato Augusto, per farsi cacciare da Roma su due piedi. Per anni il poeta di Sulmona implorerà invano, attraverso ogni canale (compresi quelli della sua – terza- moglie, appartenente all’antica gens Fabia) la grazia di un annullamento, o almeno di un’attenuazione, del provvedimento, come anche nella poesia che segue. Morirà nella remota e barbarica Tomi senza aver mai rivisto l’Italia. La più celebre rievocazione del duro abbandono della sua famiglia, della sua casa e della sua patria, è contenuto in questo carme del libro terzo dei Tristia , “Le Tristezze” che Ovidio scrive nella lontana Tomi.

Giovanni D’Alessandro*

 

*Scrittore abruzzese, di origine sulmonese, laureato in legge, vive e lavora a Pescara. Il suo esordio nella narrativa risale al ‘96, quando ha pubblicato con Donzelli Se un Dio pietoso (romanzo storico a sfondo metafisico ambientato a Sulmona ai primi del 1700), finalista al “Viareggio”; nel 2004 con Mondadori I fuochi dei kelt (rivisitazione della guerra gallica attraverso gli occhi di un giovane auriga gallo, o kelt); a fine 2006 con Rizzoli La puttana del tedesco (una storia d’amore, ambientata in Abruzzo nel 1943-44 durante l’occupazione tedesca, tra una donna italiana e un soldato della Wehrmacht); nel 2008 con San Paolo il libro di racconti Il guardiano dei giardini del cielo; nel 2011 con San Paolo Soli; Nel 2013 La tana dell’odio (storia d’amore ambientata nell’attuale Bosnia-Erzegovina, sullo sfondo della guerra del ’92-’95). Autore di saggi, si interessa di letteratura anglosassone, di storia dell’arte e collabora con vari quotidiani e riviste nazionali.

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