Generoso, mai che lo abbia visto nervoso o arrabbiato, sempre pronto piuttosto alla sceneggiata. Quando si dice Pescara è ‘nu film, beh, lui era il vero attore protagonista. E po i il suo amore per il mare era veramente infinito. Io con lui andavo dovunque, eravamo gli unici a uscire in barca col garbino e non era inconscienza, quanto la gioia, il piacere che ci accomunava di stare in mezzo alle onde. Credo, tra l’altro, che proprio lui, a Pescara, abbia segnato una svolta nel modo di fare turismo balneare. Sì, un rivoluzionario, era davanti a tutti e non di poco, col suo dinamismo, la sua genialità che gli altri magari imparavano ad apprezzare solo a distanza di tempo. Io mi trovai subito a mio agio e non tardai a capire che proprio quello era anche lo spirito della città». Pescara anni ‘80, appunto. Che cosa ti colpì e ti conquistò? «Giravi per il centro e vedevi sempre gente, i negozi affollati e non perchè ci fossero i saldi. Magari non compravano ma li vedevi presenti, un gran caos tutto intorno, con le auto parcheggiate in doppia fila all’ora del caffè o dell’aperitivo, lo stress che scivolava via tra una chiacchiera e una risata. Certo che mi colpì, di bacchettone non c’era proprio niente, men che meno il conformismo. Era la stessa cosa da Eriberto. Dall’esterno poteva sembrare un ambiente un po’ snob, ci entravi dentro e capivi subito che era solo un’impressione sbagliata. Allo stesso tavolo o sotto la stessa palma trovavi Marinelli, Gianni Santomo, personaggi del mondo dello sport, imprenditori facoltosi, il rettore dell’università e il primario d’ospedale ma anche il vigile del fuoco, il cazzaro, perfino lo spazzino. Gli stessi che poi si prendevano a pallate sul campo da tennis in sfide infinite, senza esclusione di colpi e di sfottò. Nella mischia si buttava anche Eriberto che a tennis ci sapeva fare poco, eppure spesso riusciva a vincere. Era furbo, era gatto, ne sapeva una più del diavolo, una palla contestata era sempre l’occasione per una sceneggiata che più di una volta finiva in accenno di rissa. Ho visto non solo lui ma anche altri del gruppo tirarsi dietro delle racchettate e poi rincorrersi minacciosi sulla spiaggia per poi tornare sul campo e riprendere la partita come se niente fosse, senza cattiveria nè rancori. E questa per me era una cosa bellissima, in perfetta sintonia con quel che accadeva in città. Io me la ricordo bene Pescara. Effettivamente non c’era nessun pericolo, niente di niente. Sapevi che c’erano quelle tre o quattro famiglie che magari potevano controllare il gioco d’azzardo, ma finiva lì. Di droga nemmeno a parlarne, nel periodo in cui ci sono stato io proprio non esisteva. La città mi affascinava per quel modo semplice e diretto di viverla.
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