Controvalore dell’operazione, 228 milioni di euro: è stata questa la “dote” che ha riportato in terra d’Abruzzo la cassa del capoluogo adriatico, ridotta negli anni passati a semplice tassello di un risiko bancario giocato su scenari lontani. Vista dagli analisti che quotidianamente si occupano di banche comprate e vendute, di scalate e passaggi azionari, la fusione potrebbe essere rubricata al capitolo “operazioni minori”. Prospettiva che cambia se a parlarne è un giornalista economico del calibro di Marco Panara, eminenza grigia di “Affari & Finanza”, l’inserto settimanale che il quotidiano La Repubblica dedica all’economia, ma che soprattutto è un abruzzese doc. Dice: «Il modello pre-crisi aveva portato ad accorpare gran parte del sistema bancario italiano attorno ad alcuni poli principali. La storia di Caripe è la stessa: una banca che attraverso una serie di passaggi è finita al Banco Popolare.
Dal canto suo, Tercas è uno dei non tantissimi istituti che aveva mantenuto la sua autonomia. Immagino sia stata spesso corteggiata, ma si è mantenuta illibata per tutto questo periodo, in cui andava di moda far parte di grandi reti, aumentando la sua dimensione, i suoi sportelli, il volume di affari. Credo che in qualche modo la sua autonomia, la sua territorialità siano state elementi di forza, ed è possibile che abbia rosicchiato quote di mercato anche a banche nazionali. Quindi è da ritenere che Tercas si sia avvantaggiata per effetto della sua indipendenza da una parte e della sua territorialità dall’altra». Insomma, a detta del giornalista economico abruzzese, «il fatto che oggi Tercas acquisisca Caripe è un segnale interessante, perchè cinque anni fa Caripe sarebbe comunque passata a una banca della dimensione del Banco Popolare, oppure a un’altra dello stesso tipo, come ad esempio la Popolare di Milano o il Monte dei Paschi. Oggi c’è una banca indipendente, solida, con un management vitale, presente sul territorio, perfetta per la sua dimensione. Con un vantaggio per Tercas e i suoi azionisti, ma più in generale per l’economia dell’Abruzzo: se una banca rimane sul territorio, ha una presa più forte e una dimensione maggiore, e probabilmente una capacità di incidere sul territorio in maniera più efficace». Una scelta innovativa, lungimirante? «Direi in controtendenza. Capita nel nostro mestiere di cronisti di incontrare casi in cui c’è qualcuno che riesce a condurre la barca su una rotta che non è battuta dagli altri, magari considerata obsoleta. E questo qualcuno talvolta ha ragione. Nel caso di Tercas sono stati bravi a fare il loro mestiere di banchieri, perchè è una banca sana, solida, cresciuta. Lo hanno fatto preservando ciò che oggi si rivela vincente: il valore dell’indipendenza». Matrimonio importante per i contraenti, e su questo nessuno ha dubbi. Ma l’Abruzzo ne guadagnerà? «Avere banche sane, solide e vitali è fondamentale per l’economia e lo sviluppo di un territorio. Il fatto che si tratti di banche nazionali o locali fa differenza, nel senso che la banca grande o collegata a una rete è in grado di fornire servizi più complessi, che un istituto di credito strettamente territoriale non è in grado di erogare. È importante che ci sia la miscela di due sistemi: uno fatto di grandi banche, con un modello organizzativo interno raffinato e tecnologico ma che però spersonalizza il rapporto tra banca e cliente. Modello che è servito in una certa fase per omogeneizzare gli istituti di credito, ma che oggi rivela una certa separatezza tra la banca e il tessuto economico del territorio: perchè la banca non lo conosceva questo territorio, non conosceva –per usare un’espressione forse imprecisa, ma efficace– il suo lato umano. Non conosceva la storia di ciascun imprenditore, come invece avviene con la banca locale. Avere invece una banca nel territorio solida e vitale, non esaurisce i bisogni di quell’area, ma aiuta: perché conosce anche l’umanità che c’è dietro i numeri, soprattutto in una fase come questa». Il fattore “U”, ecco il segreto. «Sono anni durissimi. Ed è difficile per una banca che guarda solo ai numeri dare, o addirittura mantenere, il credito. Una banca che conosce bene il suo cliente, guarda sì ai numeri, ma ne conosce la storia imprenditoriale e personale e può avere perciò la capacità di cogliere la realtà che i numeri non rivelano. Dunque, che anche l’Abruzzo abbia una buona banca territoriale, che si allarga e aumenta di dimensione con maggiore capacità di operare, può essere un vantaggio. Riportare sul territorio la proprietà di una banca, come Caripe, che aveva preso un altro percorso, è un buon segnale di ottimismo, un fatto importante, un’apertura di fiducia, ma bisognerà vedere gli esiti. In ogni caso, bravi, bella operazione, ma ora si tratta di passare alle verifiche». Ma, come diceva Giulio Andreotti, «a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca». Qualcosa vorrà pur dire che la politica, almeno ufficialmente, sia rimasta fuori dalla porta nella trattativa durata mesi: verità o finzione? «Mi auguro sia rimasta fuori davvero. Sarebbe un fatto positivo, la conferma che si tratti davvero di un’operazione tutta e solo di carattere economico. Non è che la politica non si debba occupare di economia: non si deve occupare di affari, ma avere una visione e la capacità di trasferire ai meccanismi dell’economia le prospettive di quella visione. La politica può rimuovere gli ostacoli, può metterli, può facilitare lo sviluppo di alcuni settori o non farlo. Di situazioni del genere ne vediamo tante: se stavolta la politica non ha partecipato né frapposto ostacoli, questo mi rassicura». Come detto, arriverà presto il tempo delle verifiche: «Con il bilancio, nella primavera 2011: ci vorrà un anno per valutare questa omogeneizzazione». Ultimi capitoli. I protagonisti, primo fra tutti il direttore generale della Tercas, Antonio Di Matteo: «Lo conosco bene, non ha bisogno dei miei consigli». Poi, lo scenario: e non è un bel vedere. «La crisi –conclude Panara– ha colpito tutto il Paese, l’Abruzzo ancor di più. Di solito dopo tragici eventi, come il terremoto, l’economia riparte, c’è la crescita, come in Umbria e in Campania, magari non in maniera virtuosa. Ma per ora in Abruzzo non c’è l’impatto. Perché la ricostruzione non è avvenuta, anche perché attorno all’Aquila operano aziende non abruzzesi e persino i materiali non provengono dall’Abruzzo. Insomma, non c’è stato finora alcun effetto dinamico».
FUSIONE TRA TERCAS E CARIPE: UN SOGNO DI MEZZO AUTUNNO
Meglio tardi che mai, anche se il sogno si avvera a metà. Erano gli anni tra il ’95 e il 2000 quando si cominciò seriamente a parlare della possibilità di unire le quattro Casse di risparmio abruzzesi, una per ogni provincia, in modo da creare un’unica banca regionale, più forte e competitiva, in grado di intervenire più concretamente a sostegno dell’economia abruzzese, specie lungo la fascia costiera. A distanza di oltre dieci anni, si celebra il matrimonio tra Tercas e Caripe dopo oltre un anno di serrate trattative. Indubbiamente un primo passo, anche se difficilmente si potrà proseguire lungo questa strada, dal momento che le altre due Casse sono entrate nell’orbita di istituti di credito nazionali. Però, mai dire mai, anche in considerazione del fatto che la Caripe si fonde o, meglio, viene acquisita da Tercas ma non direttamente in quanto la banca pescarese era sotto il controllo del Banco Popolare (un colosso formatosi con l’unione di varie banche del nord) che l’aveva acquisita dopo vari passaggi. Infatti il primo cambio di proprietà era stato con la Banca Popolare di Lodi (Bipielle). Peraltro una vendita forzata, dopo che Caripe era incappata in operazioni avventate che avevano causato sofferenze di rilievo. Basterà ricordare la vicenda dei derivati che avevano salassato banca e clienti. Era stata la stessa Banca d’Italia, dopo una serie di ispezioni che avevano portato al cambio della guardia di diversi direttori generali, a “consigliare” la vendita a un partner affidabile. Con la Bipielle c’è stata subito una inversione di tendenza con l’avvento di nuovi manager, ma con la permanenza dello storico presidente del consiglio di amministrazione, Tonino Di Berardino. Dunque Caripe (51 sportelli, 382 dipendenti, un miliardo e 345 milioni di raccolta diretta e un utile netto di 3,5 milioni) passa sotto il controllo di Tercas (110 sportelli, 838 dipendenti, due miliardi 991 milioni di euro di raccolta e un utile di 24,05 milioni). Entrambi gli istituti di credito sono ben radicati nei due territori con reciproche “pacifiche” invasioni. Le sinergie sicuramente porteranno vantaggi gestionali e maggiore capacità di intervento a sostegno dell’economia abruzzese. Il prezzo di vendita che Tercas corrisponde al Banco Popolare per l’intero controllo della banca pescarese si aggira sui 230 milioni di euro, ma la prima tranche, relativa al 51 per cento del capitale, ammonta a cento milioni. La fusione si sarebbe potuta raggiungere già qualche mese fa, ma recentemente erano emersi diversi punti di vista circa alcune presunte sofferenze nel patrimonio di Caripe. Divergenze che nelle ultima settima sono state superate. Il sogno di mezzo autunno si è avverato. F.D.M.
TUTTI I NUMERI DELLA FUSIONE
La Cassa di Risparmio di Pescara –spiega una nota presente sul sito della Tercas– conta su 384 dipendenti e 51 sportelli, di cui 45 in Abruzzo, oltre a cinque servizi di tesoreria. Al 30 giugno scorso esponeva attività totali per 1.694,7 milioni di euro di cui crediti netti verso clientela per 1.534,9 milioni, una raccolta diretta ordinaria pari a 1.232,4 milioni, una raccolta indiretta di 908,7 milioni e un patrimonio netto di 117,5 milioni di euro. Ha chiuso il primo semestre 2010 con un utile netto di 5,6 milioni di euro. L’acquisizione permette a Banca Tercas di diventare il primo gruppo bancario abruzzese con 163 sportelli presenti non solo in Abruzzo, ma anche in Molise, Lazio, Emilia Romagna e Marche e attivi creditizi consolidati di 5 miliardi di euro.
LA TERCAS E LA SUA STORIA
Risale al 1939 la nascita della Cassa di risparmio della provincia di Teramo a seguito della fusione di due piccole banche, quelle di Nereto e di Atri. Nel 1940 la massa fiduciaria di Tercas era di 13 milioni e 596mila lire con 11 sportelli e 29 dipendenti. Nell’arco dei successivi trent’anni i depositi avevano superato i 43 miliardi di lire con un patrimonio di un miliardo e 254 milioni. Nel 1973 la banca raggiunge il prestigioso traguardo dei 100 miliardi di lire di depositi. Nel successivo ventennio la Tercas attiva un progetto di espansione territoriale aprendo nuove filiali nelle province di Chieti, Pescara, L’Aquila, Ascoli Piceno e nel Molise (Termoli e Campomarino). Nel 1992, con l’istituzione della Fondazione Tercas, la Cassa diventa società per azioni. Caratteristica della Tercas è l’autonomia e l’indipendenza dai grandi gruppi bancari e sempre con una spiccata vocazione locale e con una consolidata vicinanza al mondo delle famiglie. Questo ha condotto la Tercas a un nuovo rapporto con l’utenza basato su una fidelizzazione crescente che si realizza fornendo un livello di servizio sempre più elevato e personalizzato.
LA CARIPE E LA SUA STORIA
Nel 1871, in un centro rurale caratterizzato da notevole dinamismo economico e sociale, l’ingegnere Francesco Valentini fonda la Cassa di risparmio e del credito agrario di Loreto Aprutino. Con l’unità d’Italia il centro abruzzese si distingue per la sua intraprendente borghesia agraria. Con la creazione della quarta provincia abruzzese, quella di Pescara nel 1927, il baricentro della banca si sposta nella città adriatica che negli anni Cinquanta diventa sede della Cassa. L’8 agosto 1992 nasce la Fondazione Caripe (oggi Pescarabruzzo), ma le funzioni creditizie rimangono in capo alla Cassa di risparmio. Nel 2001, l’istituto con la nuova denominazione di Banca Caripe, entra nell’allora gruppo Bipielle (Banca popolare di Lodi). Fino a ieri, prima della fusione con Tercas, la Caripe, all’interno del gruppo Banco Popolare era ed è un istituto locale che, senza smarrire la vocazione originaria, è proiettato su aree sempre più vaste. Assieme a Tercas il cammino sarà certamente più agevole.