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Quella scrittrice abruzzese elogiata da Benedetto Croce

Nel 1908, centodieci anni fa, veniva pubblicata a Firenze, da una studentessa teramana, una tesina che attirò subito l’attenzione di molti letterati e, più tardi, di altrettanti critici, destando curiosità fino ai giorni nostri. E fu davvero singolare la vicenda di questa studiosa che, come sottolineò molti anni fa Franco Zenobi di Teramo,
è ricordata in diversi manuali e testi critici di letteratura italiana, ma nella pubblicistica locale era completamente inesistente. Stiamo parlando di Gina Martegiani, all’anagrafe Giacinta Teresa Carlotta Martegiani, nata a Montorio al Vomano il 22 gennaio 1886 dal farmacista Filippo, futuro sindaco della cittadina e consigliere provinciale, e da Giustina Pacini, discendente da un’antica stirpe locale. Prima di nove figli (seguirono: Carlo, Ermanno, Amelia, Riccardo, Giannina, Ugo, Italo e Goffredo) Gina vide la luce in via Camponeschi-Carafa, l’odierna via Donato Di Giammarco. Per essere più precisi diremo che la casa in questione è il palazzo marchesale che si affaccia su piazza Orsini, con l’annessa storica farmacia, un tempo di proprietà della famiglia Martegiani. Fu battezzata nella collegiata di San Rocco dal prozio don Fabio Pacini, all’epoca arciprete della cittadina teramana. Giovanissima soggiornò a lungo a Firenze, dove potè respirare l’atmosfera avanguardista di quel periodo, studiando presso l’Istituto di Magistero femminile. Qui, a soli ventidue anni, pubblicò la sua opera più famosa: Il Romanticismo Italiano non esiste – Saggio di letteratura comparata edito dalla Successori B. Seeber di Firenze nel 1908. «Si è parlato» – scrive l’autrice nella prefazione – «e si parla tuttora di un Romanticismo italiano, ma cos’ha di romantico ciò che ha preso quel nome? Esaminando cos’è stato, nella sua essenza, il Romanticismo straniero e specialmente il tedesco, che è l’autentico e a cui l’Italia volle far eco, mi propongo di mostrare che il Romanticismo italiano non è esistito perché i caratteri di quel movimento letterario a cui fu dato tal nome sono addirittura “antiromantici”». Il libro fu accolto positivamente dalla critica dell’epoca, fu recensito più volte, perfino da Benedetto Croce che affermò: «Questo libro rivela nell’autrice la rara attitudine a cogliere, sotto le somiglianze apparenti, le profonde diversità degli stati d’animo e la non meno rara virtù artistica di esporre i caratteri ritrovati per analisi, in tal modo, da farli intendere e, insieme, sentire (…) è il solo, a me noto, che si sollevi sul comune livello delle tante tesi, scritte da donne italiane, laureate dalle facoltà di lettere o diplomate dagli Istituti di Magistero…». Affermazione ribadita da Giuseppe Antonio Borgese e, più tardi, anche da Mario Puppo, solo per citare alcuni nomi della numerosa lista. Nel 1911, per la “Cultura dell’anima”, Gina Martegiani tradusse alcuni frammenti di Hyperion, opere del poeta tedesco Friedrich Hölderlin, e raccolse, nel 1913, per “Scrittori nostri”, gli Scritti varii di Giovita Scalvini. I due volumi facevano parte di due distinte collane dirette da Giovanni Papini, l’autore delle famose Stroncature, e furono pubblicati dal noto editore lancianese Rocco Carabba. Nel 1916 tradusse Opere e lettere di Wilhelm Heinrich Wackenroder, stampato sempre dalla casa editrice frentana. Scrisse poi per vari periodici, quali la Rivista bibliografica di Faenza, L’Abruzzo Letterario – Quindicinale di lettere, arti e scienze popolari, pubblicato a Loreto Aprutino, e Terra Vergine – Quindicinale abruzzese di pensiero e di studio. Quest’ultimo è stato il primo giornale, a noi noto, di Montorio al Vomano: pubblicato solo dal 1926 al 1927 fu diretto dal fratello più piccolo di Gina, Goffredo Martegiani, e raccolse le firme di illustri abruzzesi, fra cui i noti Eugenio Cerulli, Alberto Scarselli, Luigi Illuminati, Vincenzo Bindi, Luigi Brigiotti, Carlo D’Aloisio da Vasto e il giovanissimo Quirino Celli, castellano di nascita e montoriese d’adozione, cugino dei Martegiani. Certamente la nostra saggista collaborò con numerose altre riviste specializzate che andrebbero ricercate nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze o in quella Nazionale di Roma, i due centri dove maggiormente operò e visse. Anche questo particolare potrebbe essere un interessante argomento di ricerca per gli “addetti ai lavori” del nostro comprensorio. Il 30 dicembre 1916, a Montorio, Gina Martegiani sposò Vincenzo Cornacchia, nobile originario di Colonnella, del quale rimase vedova solo alcuni anni dopo. Dal matrimonio nacque il figlio Mario. Quasi novantacinquenne, la Martegiani si spense a Roma il 3 gennaio 1981. Appena un anno dopo fu la volta del figlio al quale era morbosamente attaccata.

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