La scultura del Guerriero viene collocata isolata all’interno di una sala le cui pareti sono state modellate in maniera avvolgente, a suggerire l’idea di una grotta. Lo spazio di forma ellissoidale è generato per mezzo della sezione aurea, un rapporto matematico impiegato nell’arte antica e rinascimentale e 45). ritenuto espressione di bellezza ed armonia: la sua misura viene determinata a partire dalle dimensioni del copricapo della statua, assunte come modulo (l’asse principale è lungo 13 volte il modulo, quello minore circa sette volte e mezzo). Le pareti sono costruite in pietra calcarea locale, la cui tonalità è armonica a quella del reperto custodito. Sulle superfici murarie Paladino ha iscritto graffiti che recano il suo consueto alfabeto segnico, composto di teste umane, frecce, rami, utensili vari. Il graffito viene scelto nel suo valore di gesto primario, ipotetica scrittura sconosciuta secondo l’autore, e nella sua tenuità non genera alcuna interferenza visiva alla contemplazione della statua. Quest’ultima è collocata all’interno della sala in posizione decentrata sul lato sinistro, e si offre allo sguardo ancora prima di varcare la soglia della stanza-caverna. La lettura che l’artista vuole istradare è senza dubbio tesa a decontestualizzare l’opera, esponendola isolata, e favorire un’esperienza di tipo contemplativo. Non mancano in questo senso suggestioni di matrice teatrale (evidenti in particolare dall’utilizzo delle luci), un territorio che Paladino ha frequentato occasionalmente come scenografo. Il nuovo allestimento riesce appieno a fornire una lettura dell’opera che è allo stesso tempo reverente e nuova. «In realtà ho sempre pensato alla mia opera come un fatto architettonico e non come una narrazione letteraria perché ho uno spiccato interesse personale per il concetto di spazio come geometria, architettura. E l’architettura dovrebbe essere al di là del tempo, avere un senso della misura. Non può essere una passerella per fare spettacolo ed esaltare il proprio narcisismo. Ma è tutta l’arte che deve tornare ad essere un lavoro severo ed etico, fatto nel silenzio. L’arte rappresenta sempre uno spiraglio di positività perché spinge alla riflessione e alla critica. Ma deve andare in profondità e rifiutare il gusto dell’intrattenimento effimero». Nella mostra personale allestita parallelamente a Palazzo de Mayo, Paladino e il nuovo Guerriero. La scultura come cosmogonia (a cura di Gabriele Simongini), l’artista presenta una selezione di opere recenti. Tra queste assume particolare preminenza una rilettura dello stesso Guerriero di Capestrano (Guerriero, 2010-2011, terracotta su base di acciaio, cm 236 x 100 x 100). Dichiara l’autore: «Il Guerriero mi ha attratto non tanto per il suo potere evocativo quanto piuttosto per la sua forza geometrica, evidente soprattutto nello straordinario copricapo che idealmente genera una sorta di cilindro in cui si iscrive tutta la scultura. Il Guerriero è la matrice di una linea della ricerca plastica italiana che arriva fino ad Arturo Martini. Ed è un’opera particolare anche per la stravaganza della sua forma, è la scultura meno raccontata di tutte, meno degli etruschi. Anche in questo sta il suo mistero». Paladino si appropria dell’opera preromana fino a farne una propria opera, senza tuttavia tradirne l’essenza più profonda. La figura è tradotta con l’impiego della terracotta e animata tramite l’inserimento di tegole della stessa materia, a suggerire l’idea di edificazione invece che quella di distruzione solitamente associata alla guerra. «Nella mia nuova opera c’è una netta impostazione geometrica che si concretizza chiaramente nel copricapo. Nel complesso la scultura è quasi una struttura architettonica, una casa, richiamata dall’uso ripetuto delle tegole e dal cappello che diventa anche una sorta di tetto. La tegola in alto, che si incrocia con la mano, traccia una diagonale che dal corpo arriva idealmente fino al copricapo. In definitiva il mio Guerriero è disarmato».
Le stanze di Palazzo Mayo mostrano un’idea rappresentativa della produzione scultorea di Paladino, che si fonda su archetipi come la figura umana (nelle tre figure stanti Senza titolo, 2005: figura con putrella, bronzo e ferro dipinto, cm, 205 x 80 x 60; figura con stella, alluminio e ferro dipinto, cm, 202 x 98 x 65; figura con sfera, alluminio dipinto, cm, 199 x 77 x 48), il cavallo (Architettura, 2007, bronzo, cm 215 x 210 x 40), l’elmo (Elmo, 1999, bronzo, cm 130 x 190 x 190), il carro (Carro, 1999 – 2000, acciaio corten, cm 200 x 218 x 100). Un vero e proprio campionario di oggetti da guerra –quasi l’ipotetico corredo da battaglia del Guerriero– è compendiato in quella che sembra una stanza dei trofei: su basamenti accostati uno all’altro sono collocate settantacinque piccole sculture in bronzo (la cui realizzazione si scala dal 1984 al 2010) che ripropongono presenze costanti nell’iconografia dell’autore: elmi, spade, scudi, cavalli, teste umane. Un’opera insolita infine è quella che nasce dalla collaborazione con Ettore Spalletti, artista abruzzese dal linguaggio minimale e rarefatto, per molti versi opposto a quello di Paladino. Dal loro dialogo si genera un risultato di grande equilibrio: un cubo di colore giallo chiaro che ospita sul lato superiore una figura umana seduta (Mimmo Paladino ed Ettore Spalletti, Senza titolo, 2004, terracotta, impasto di colore su legno e ottone, cm 90 x 45 x 45).